Il fascettaro, un lavoro perduto

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fascettaro

Curvo ai margini del bosco. Quasi tutte le mattine lo vedevo così. Riconoscibile da una camicia rossa a quadrettoni: il fascettaro. Un giorno di quelli piovigginosi, ero andato a correre lo stesso e l’ho intravisto che si riparava fumando una sigaretta. Mi sono fermato e ho scambiato qualche parola. Ispida barba incolta e mani callose, occhi intensi e modi dimessi. Forse era a disagio o semplicemente timido, ha risposto con una certa ritrosia alle mie domande. Mi ha detto il suo nome, che evidentemente aveva italianizzato per mia comodità.
Nei giorni seguenti l’ho incontrato più volte e così ho scambiato dapprima qualche parola, per arrivare pian piano a conoscerlo un po’ meglio. Veniva dai Carpazi, dove faceva il boscaiolo. Aveva lasciato la moglie e due figli per lavorare in Italia, chiamato da un suo cugino. Facevano i boscaioli anche qui, ma non è che tagliassero alberi; no, quello da noi lo fanno le macchine. Facevano i “fascettari”, ossia raccoglievano i rametti, o qualche ramaglia un po’ più grande, che legavano in fascette. Biomassa pure quella, diremmo noi. Materiali che altrimenti sarebbero rimasti nel bosco ad alimentare la lettiera – e questo è positivo –. Ma se troppi, sono una pericolosa fonte di innesco per gli incendi estivi.
Quando la raccolta delle fascette ha raggiunto un certo numero, arriva un camioncino. Lo guida un italiano. Ho domandato dove le avrebbe portate. Aveva una cerchia di clienti, soprattutto forni del circondario che ancora funzionano a legna.
Non ho resistito alla curiosità e mi sono fatto dire il costo. Mentendo spudoratamente ho detto che mi sarebbero servite una decina di fascette per me. “Non faccio un viaggio per dieci fascette”, la risposta, ma sarebbero costate 15 euro, ossia 1,50 euro l’una. Poi ho domandato ad Andrea (così mi aveva detto di chiamarsi) quanto prendevano a fascetta. Non lo sapeva. Lavorava tutto il giorno chinato a terra e non sapeva il prezzo del suo sfruttamento. 60 centesimi, risponde il cugino. “50 euro al giorno per fare 80 fascette, ma la mattina devi venire presto!”.
Il signore del camioncino prende 90 centesimi a fascetta, ne carica qualche centinaio (anzi, sono Andrea e il cugino che le caricano) e poi in mattinata fa un giro nei paesi intorno per consegnarle.
Ogni valutazione sulla gerarchia del lavoro, sullo sfruttamento delle persone e sulla casualità della gestione del bosco appare chiara. Prevale una visione mercantile e iperfunzionalistica che sottrae significato al lavoro e valore al bosco.

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Il fascettaro è un lavoro del tutto residuale e ormai non lo fa più nessuno. Era un lavoro importante per gli equilibri di un bosco ceduo, che viene tagliato con una turnazione più o meno ventennale. Di solito nei decenni scorsi si faceva alla pari; ossia, chi raccoglieva le ramaglie residuali dopo il taglio vero e proprio, si poteva tenere e vendere quanto raccolto. Quando i forni erano prevalentemente a legna c’era una filiera che teneva in piedi un intero settore economico.
Ora si entra nel bosco con le macchine e in pochi giorni si tagliano centinaia di ettari, le ramaglie non sono considerate e diventano un sottoprodotto quasi mai utilizzato, neanche per fare il cippato.